Enzo Carli di Roberto Barzanti

ACCADEMIA SENESE DEGLI INTRONATI
ENZO CARLI (1910-1999)
di Roberto Barzanti

Si è conclusa il 26 settembre 1999 l’operosa esistenza di Enzo Carli, presidente della nostra Accademia. Era questo di Archintronato l’unico titolo del quale ancora si fregiava con distaccata ironia colui ch’è stato certamente un protagonista di eccezionale fecondità della storiografia artistica ed in modo particolare di quella che ha avuto per oggetto Siena ed il suo immenso patrimonio di testi e tradizioni.
Enzo Carli era nato a Pisa il 20 agosto 1910 nel quartiere di Santa Maria, come amava ripetere, a due passi dalla piazza-prato del Duomo. Figlio di Plinio Carli, celebre insegnante di letteratura italiana, si formò fin dall’infanzia in un’atmosfera che invitava a studi severi e dilettevoli. Fu dal 1927 al 1931 allievo prima di Mario Salmi quindi di Matteo Marangoni. Coetaneo di Cesare Gnudi, amico e compagno di studi di Carlo Ludovico Ragghianti, al quale rimase sempre profondamente legato, come ad un’altra figura mitica della Normale di quegli anni: Aldo Capitini. Studiò pianoforte e composizione musicale e non abbandonò mai la sua passione anche teorica per la musica. Nel novembre del 1931 si laureò – sotto la guida di Matteo Marangoni – con una tesi su Tino di Camaino, che sembrava quasi prefigurare il «futuro destino senese». Infatti, dopo aver insegnato per tre anni storia dell’arte nei licei fiorentini, entrò nell’amministrazione statale delle antichità e belle arti, fu successivamente ispettore alla Soprintendenza dell’Aquila e dal 1939 prese servizio a Siena, dove ha compiuto l’intera sua carriera, in un primo tempo come direttore della Pinacoteca e quindi come Soprintendente, fino al collocamento a riposo nel 1973. Ma riposo è parola impropria per la scheda biografica di Enzo Carli, che fino all’ultimo ha scritto, annotato, rivisto e raccolto sue pagine in una ricerca incessante, sempre condotta con giovanile freschezza, filologico rigore e pieno entusiasmo. A Siena fu anche rettore dell’Opera me­tropolitana, direttore del Museo dell’Opera del Duomo, responsabile del Museo civico, partecipe di tantissimi progetti e coordinatore di un gran numero di fondamentali esposizioni, a partire da quella preparata nel 1944, su ordine del governo militare alleato della Toscana, dedicata ai «capolavori dell’arte senese», forse la prima mostra allestita nell’Italia liberata. Carli fu anche attivissimo organizzatore culturale. Memorabili resteranno i suoi meriti nella salvezza del patrimonio d’arte della città, ricoverato durante la guerra in gran parte a Villa Arceno, nei pressi di Castelnuovo Berardenga. Quando i tedeschi in ritirata minacciarono di trasferire al nord i dipinti là raccolti Carli inventò prontamente una bugia miracolosa, cioè che le tavole erano di proprietà della Santa Sede e che la villa godeva di privilegio dell’extraterritorialità e quindi gravi sarebbero state le conseguenze di carattere diplomatico nei confronti dello Stato del Vaticano in caso di violazione di tale status. L’invenzione sortì l’effetto sperato e le minacce si allontanarono.
Enzo Carli nel 1962, a seguito di concorso, fu chiamato a insegnare storia dell’arte nella Facoltà di Lettere dell’Università di Genova, ma rifiutò per non staccarsi da quella che era diventata la sua città di elezione. Dove fu anche insegnate nell’appena inaugurata Facoltà di Lettere, dal 1970 al 1973. Nel 1980 gli fu conferito dall’Accademia dei Lincei il premio del Presidente della Repubblica e nel 1995 il premio Feltrinelli. Fu animatore di numerose istituzioni culturali, fu membro di accade-mie tra le quali spicca l’Accademia nazionale di San Luca.
Enzo Carli amò divulgare a cuore aperto i risultati della sua ricerca. La sua va­stissima bibliografia – poteva contare già 500 titoli nel 1988, allorché il Kunsthistorisches Institut di Firenze dette alle stampe il prezioso volumetto a cura di Wolgang Loseries – testimonia quanto egli sia stato generoso, versatile e disponibile. Suoi scritti sono ospitati in sedi scientifiche di prestigio internazionale come in rivistine locali, in pubblicazioni di Contrada, in guide turistiche, in diffusissimi manuali scolastici. Fu non solo storico dell’arte, fedele senza dottrinario cipiglio all’impianto idealistico di ascendenza crociana: fu amabile oratore, garbato e nitido scrittore, poeta dotato di un’affabile e affettuosa misura. Non gli fu estraneo un acuto interesse per l’arte e gli artisti del suo tempo: «Gli artisti di cui ho scritto – confidò – erano tutti amici e Io sono diventati. A me piaceva stare con loro, condividere anche momenti della loro vita, tanto più spontanea e appassionata di chi artista non è». Tra i più frequentati si possono ricordare Marino Marini, Emilio Greco, Domenico Cantatore e molti altri a Siena incontrati o attivi, come Giacinto Fiore, Piero Sadun, Dario Neri, Emilio Montagnani. Nelle prose autobiografiche di Inventario pisano (1977) ha condensato le autentiche ragioni del suo cammino. Alle raccolte di versi che si sono andate infittendo negli ultimi anni, quasi a sigla testamentaria di una vita intensissima affrontata con energia e onestà, ha consegnato i temi ed i sentimenti più a lungo coltivati: dagli Epigrammi di un ottiagenario ovverosia Autobiografia minima (1992) ai teneri Serventesi elegiaci per la moglie morta (1996), alle finali Cento e una cavatine bibliche (1998).
Alle vicende estetiche e spirituali di Siena ha dedicato un lavoro di decenni, in­trecciando di continuo scrittura e cura, dirigendo restauri. sollecitando interventi, dando alle stampe una quantità di volumi che formano una splendida enciclopedia, di continuo ripensata, corretta, ampliata, chiosata, rivista con assidua. ininterrotta attenzione: fino al maestoso dittico Arte senese e arte pisana (1996). Siena gli aveva assegnato nel 1959 il Mangia d’oro ed egli ne andò sempre fiero.  Enzo Carli fu a molti amico e maestro. Come i pittori che studiò a lungo, volle insegnare al popolo, a chiunque volesse averlo saggio compagno in un incantato viaggio. ascoltandone spiegazioni e confessioni, parole e silenzi: «Quando penso che tanto / ho forse invano scritto, nel mio petto / sento nascere acuto un rimpianto / ché quale che più premeva non ho detto».