Tre testimonianze su Enzo Carli

Tre testimonianze su Enzo Carli
Dal «Bullettino Senese di Storia Patria»
CVI, 1999, (2001), pp. 11 – 41

ENZO CARLI

Enzo Carli è stato il Nestore degli studi sull’antica arte senese. Mitico rettore della Soprintendenza di Siena, vi lavorò dal 1939 fino all’età della pensione nel 1973. Insegnò quindi all’Università di Siena, diresse il museo dell’Opera del Duomo, e fu socio nazionale dell’Accademia dei Lincei. Era nato a Pisa il 20 Agosto del 1910, figlio di Plinio Carli, un professore di italiano autore di un’antologia un tempo diffusissima, il `Carli-Sainati’. Coetaneo di Cesare Gnudi, per evocare il nome di un’altra esemplare figura nella storia della tutela del patrimonio artistico italiano, era stato durante gli anni in Normale allievo di Matteo Marangoni, amico e compagno di studi di Carlo Ludovico Ragghianti.
La sua vita è stata lunga e operosissima di fatti e di scritti. Som­messo e nascosto poeta (Fortune 1931, Cronache e commiati, 1936, Epigrammi di un ottuagenario, 1992, Serventesi elegiaci per la moglie morta, 1996, Cinquanta cavatine bibliche, 1997), «ambivo a essere poeta», scrive ricordando l’incarico di consegnatario della casa natale di D’Annunzio avuto come giovane ispettore della Soprintendenza dell’Aquila «e il disbrigo di questa «pratica» burocratica mi parve una specie di riconoscimento o di premonizione, poi rivelatisi fallaci», buon musicista (aveva studiato pianoforte e composizione musicale con il maestro Leonardo Pacini), fu scrittore felice, accattivante e piano, capace di dominare i due registri del discorso, quello scientifico quanto quello divulgativo. Ciò bene appare dalla vastissima bibliografia a cura di Wolfgang Loseries che nel 1989 per «festeggiare un cinquantennio di attività al servizio dell’arte e della cultura di Siena» gli ha dedicato il Kunshistorisches Institut di Firenze e a cui sarebbe oggi indispensabile un corposo supplemento che dia conto delle numerose e importanti pubblicazioni dell’ultimo decennio. Tra esse il monumentale volume Arte senese e arte pisana, edito da Allemandi nel 1996 che raccoglie e aggiorna un centinaio di scritti e un libro ricco e stimolante come Arte in Abruzzo (Electa 1998) frutto maturo delle scoperte e delle esperienze degli anni giovanili trascorsi tra il 1937 e 1939 alla Soprintendenza dell’Aquila.
Molti anni fa nel 1948, quando ero appena entrato all’Università a Torino e preparavo un esame di storia dell’arte, mi imbattei per la prima volta nel nome di Enzo Carli. Il ricordo della splendida mostra della antica scultura pisana che si era tenuta a Pisa nel 1946 era ancora fresco e Anna Maria Brizio, di cui seguivo le lezioni e con cui poi avrei fatto la tesi, aveva dedicato il suo corso a problemi della scultura gotica toscana. Ricordo di aver letto allora e di esserne rimasto affascinato un lungo saggio del Carli su La giovinezza di Arnolfo di Cambio (pubblicato nel «Bollettino Storico Pisano» V, 1936, 3 pp. 175-222), che mi suggerì la dimensione europea del problema con quell’insistere sul rapporto tra Arnolfo e i cistercensi di San Galgano. Fu allora che studiando le fotografie dei capitelli di umore transalpino della cappella Gondi in Santa Maria Novella o dello splendido rilievo in stucco di Badia a Settimo, purtroppo distrutto dalla guerra, ho cominciato a pormi delle domande sui modi e le forme della penetrazione del gotico in Italia, domande che in qualche modo mi porto dietro da quel tempo tanto lontano. Direi addirittura che la curiosità per i rapporti tra l’arte italiana e quelle d’oltralpe che fino ad ora mi ha accompagnato nacque dalla lettura di quel saggio che esercitò su di me una straordinaria suggestione. Nella stessa occasione avevo studiato le sue Sculture del Duomo d’Orvieto (pubblicate nel 1947 a Bergamo dall’Istituto Italiano di Arti Grafiche) e sfogliato con ammirazione le splendide tavole di una monografia rivelatrice edita nel 1946 dall’Electa (allora fiorentina e assai raffi-nata) su Goro di Gregorio, lo straordinario artista senese che nel 1324 scolpì, per la cattedrale di Massa Marittima, quel capolavoro di oreficeria marmorea che è l’Arca di San Cerbone, uno dei più singolari raggiungimenti del gotico italiano, di cui per la prima volta, grazie alle illustrazioni sontuose malgrado i tempi austeri, si poteva valutare la su-prema qualità. Con questo libro Enzo Carli portava avanti un suo di-scorso sulla scultura gotica senese e sui suoi protagonisti, che aveva coltivato fin dalla tesi di laurea (Tino di Camaino scultore, Firenze, Le Monnier 1934) e continuò sempre ad esplorare con particolare passione con volumi quali Sculture del Duomo di Siena che Carlo Ludovico Ragghianti aveva fatto uscire nel 1941 presso Einaudi come primo numero della sua collana di storia dell’arte, fino alla ampia silloge Scultori senesi, (Electa 1980). Questo cruciale aspetto dell’arte di Siena era stato fino ad allora coltivato da pochi (Valentier, Cohn-Goerke) ed era rimasto in qualche modo appartato e in secondo piano rispetto all’infittirsi degli studi sulla pittura.
Fu l’anno successivo che incontrai di persona Enzo Carli a Siena dove ero arrivato per visitare la mostra della antica scultura lignea senese, una mostra indimenticabile e generatrice di avvenire che dopo la guerra rilanciò le indagini in un campo che avrebbe riservato splendide sorprese. Me lo ricordo bene negli uffici della Soprintendenza che si trovavano allora in Via di Città, attento a rispondere ed esaudire ogni domanda e pronto a suggerire al giovane studente anche i modi meno dispendiosi di alloggiare e nutrirsi in Siena. Altri ricordi risalgono ancora una volta a una mostra sfavillante da lui organizzata, quella del 1955, consacrata ai dipinti senesi del Contado e della Maremma, che visitai insieme a Michel Laclotte, emozionanti entrambi per la presenza di capolavori restaurati di ambito duccesco come la Madonna di Badia ad Isola e le Storie della Passione della Maestà di Massa Marittima o ancora del San Michele Arcangelo di Badia a Rofeno o della Maestà di Roccalbegna di Ambrogio Lorenzetti. Questo per dire che negli anni torinesi dell’Università e in quelli fiorentini e avignonesi del perfezionamento il nome di Enzo Carli fu per me, e per molti, tutt’uno con quello di Siena, di quella capitale del gotico in cui altro non desideravo che ritornare.
Attraverso le ricognizioni, i ritrovamenti, i salvataggi, i restauri, l’organizzazione della rete museale sul territorio, le mostre, le numerosissime pubblicazioni (che gli valsero nel 1995 il Premio Feltrinelli per la critica dell’arte e della poesia dell’Accademia dei Lincei) Enzo Carli ha dominato per decenni il campo dell’arte senese proponendo nuovi punti di vista in particolare nella riconsiderazione dei grandi scultori gotici senesi, in questo lungo tempo ha mantenuto un dialogo sempre aperto, civile e garbato (qualità non comuni tra gli storici dell’arte) con generazioni di interlocutori da Carlo Ludovico Ragghianti a Geza de Francovich, da Cesare Gnudi a Cesare Brandi, da Max Seidel a Giovanni Previtali, a Luciano Bellosi e ai loro agguerriti allievi. La sua Vetrata duccesca (Electa 1946, recentemente ristampata nel volume Allemandi) che con l’attribuzione a Duccio della vetrata circolare del Duomo di Siena aprì la strada ad una nuova immagine del grande senese è un testo esemplare e rattrista pensare che egli non potrà vedere l’apertura della mostra duccesca di cui la «sua» vetrata costituirà un apice.

ENRICO CASTELNUOVO

 

RICORDO DI ENZO CARLI

Dieci anni fa l’Istituto Tedesco di Storia dell’Arte pubblicò la Bibliografia di Enzo Carli (1) e l’Accademia degli Intronati volle rendere omaggio al suo infaticabile presidente con una presentazione che si tenne nella sede di Palazzo Patrizi. Incaricata di portare il saluto degli storici dell’arte di Siena, parlai seguendo alcuni appunti manoscritti che conservo ancora e ho riletto in questa occasione.
Rievocavo la piccola città degli anni cinquanta e sessanta la cui vita si svolgeva tutta nel centro storico, sede ideale per i suoi `arroccamenti’ urbanistici e sociali. Ricordavo in modo molto familiare come noi giovani, cresciuti tra la scuola elementare Saffi e il liceo classico Piccolomini, il Salone Chigi Saracini e la libreria Bassi, pieni di interessi vivaci, anche se vaghi, per la poesia, l’arte e la musica, vedevamo Enzo Carli. Avevamo la percezione di una personalità poliedrica: leggevamo i suoi scritti e capivamo che era uno scrittore, uno storico dell’arte, ma ascoltavamo anche il brillante conferenziere, talvolta il musicista e pensavamo che fosse un’autorità: l’autorità cittadina della storia dell’arte, il Soprintendente di Siena.
Non avevamo molte occasioni per incontrarlo salvo, idealmente, lo studio, non per tutti molto assiduo, del manuale di storia dell’arte che egli aveva scritto insieme al Dell’Acqua e che era diffuso nei licei italiani; talora, però, ci capitava di avere un frettoloso incontro nell’appartamento di via San Pietro, al piano superiore alla Pinacoteca, dove abitava insieme alla sua famiglia.
Molte delle cose che dissi allora sul rapporto tra Carli e la città, si potrebbero ancora dire, ma francamente ora che non c’è più me ne manca il coraggio. Sento invece farsi strada il desiderio di ricostruire l’entità storica di questo grande intellettuale, ma sono consapevole della difficoltà di riuscire a dare un quadro non troppo distorto di una personalità come quella di Carli, soprattutto in questo momento di passaggio, ancora sotto la profonda suggestione dei suoi racconti, del suo in-cessante ripercorrere l’opera del `funzionario’, che stentano ad essere guardati con distacco e giudicati razionalmente.
In questi primi tempi non è semplice ritrovare le carte che parlano della sua opera: qualche rapido saggio in Soprintendenza, mi ha messo tra le mani una documentazione lacunosa, e a casa Carli, dove è in corso l’inventario della biblioteca, generosamente lasciata all’Opera della Metropolitana, l’ultima istituzione diretta, è troppo presto per ragionare su quei libri e chiedere loro le ragioni di un metodo critico, di un lavoro storico durato tanto tempo (2).
Si può solo tentare per brevi cenni di ripercorrere i sessanta anni che lo storico dell’arte pisano ha trascorso a Siena, un tempo lungo, speso fino all’ultimo giorno nello studio dei ‘capolavori’. Questa è stata la fatica quotidiana di Carli: riscoprire e studiare le grandi opere della civiltà gotica toscana, seguendo itinerari precostituiti dalle consuetudini di vita, che lo hanno portato a conoscere i monumenti e le opere, partendo dalla Pisa natale, spingendosi verso l’interno attraverso le strade che da Volterra vanno a Siena, per discendere alla costa maremmana. E quella di Carli una storia basata sulla geografia, una geografia storica e personale.
Enzo Carli, arriva a Siena nel 1939 quale ispettore della Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie, dopo aver trascorso i primi due anni di impiego a L’Aquila, anni molto intensi che amava rievocare come palestra dei suoi studi e della sua attività di conservatore. In Abruzzo si appassiona alla scoperta di luoghi di bellezza incontaminata, alla conoscenza e difesa di un ‘patrimonio’ di affreschi e di sculture, spesso ancora conservati nei luoghi di origine. Il lavoro sul campo non lo distoglie dalla ricerca, gli fornisce piuttosto la materia per sette i saggi, che con grande celerità, nonostante i tempi difficili, sono pubblicati tra il 1938 e il 1943. Lavori ai quali Carli teneva particolarmente ma-turando a poco a poco la decisione di raccoglierli in volume (3).
Giunge alla Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie di Siena quando il pensionamento di Peleo Bacci, un uomo la cui conoscenza storico artistica si era formata sul campo, apre la strada all’ingegner Raffaello Niccoli, forse non così versato nella pittura e scultura come nella conservazione delle architetture. Accanto al soprintendente ingegnere, il giovane laureato in storia dell’arte trova spazio per la sua attività di tutela e di studio e mentre i problemi della salvaguardia del patrimonio lo assillano, con l’urgenza dovuta allo scoppio della guerra, riesce a completare la pubblicazione degli studi abruzzesi.
La massacrante fatica del ricovero delle opere della Pinacoteca nella Villa Arceno in Chianti e nella Abbazia di Monteoliveto è stata da lui raccontata pochi anni fa con accenti romanzeschi ed anche umori­stici, secondo un carattere conservato fino agli ultimi giorni (4). Nel ricordo ha personalizzato molto il suo ruolo nella difesa delle opere di Pinacoteca, ma se guardiamo alla realtà dei fatti, come ci viene tra-smessa dalle carte nell’archivio della Soprintendenza ai Beni artistici e storici e dagli articoli di giornale, ci accorgiamo che si adopra fino all’inverosimile per la difesa dei capolavori della scuola senese.
La sua costante azione dura fino al 1946 quando – dice Niccoli in una lettera – `il solerte ispettore’, compiuti gli ultimi due trasporti da Monteoliveto e da Villa Arceno, può affrontare il riallestimento e la riapertura della Pinacoteca. I resoconti giornalistici rivelano che il primo impegno è una mostra di arte senese patrocinata dal Governo Militare Alleato (5), evidente segno della ripresa delle attività della Pinacoteca che solo il pragmatismo dell’ispettore Carli aveva mantenuto in vita per tutto il periodo della guerra. Ne abbiamo traccia in un suo articolo del 1942 riguardante i nuovi acquisti della Pinacoteca di Siena, uno scritto rivelatore di un’attitudine a sfidare gli eventi, di una tenacia nel realizzare i propri compiti per salda coscienza del proprio ruolo, doti di carattere e di autodisciplina che gli hanno permesso di affrontare le prove più dure della vita ed avere una vecchiaia lunga e laboriosa (6).
La guerra, che lo costringe ad una azione di tutela spasmodica, lo fa urtare continuamente contro le gerarchie politiche e militari, ed è in queste vicende che la personalità del giovane emerge in primo piano, nonostante la sua posizione subordinata. C’è un episodio strano, databile al 1942, quando i giornali danno notizia, con la retorica del caso, di una riapertura della Pinacoteca in piena guerra. L’evento stupefacente, considerate le circostanze, si può spiegare con le pressioni del potere politico, desideroso di dimostrare ottimisticamente gli sviluppi favore-voli del conflitto e rassicurare la popolazione. Però, su «Il Telegrafo» Enzo Cesarini scrive il 22 settembre 1942 non solo della riapertura, ma anche dell’inaugurazione di nuove sale e perfino di un nuovo laboratorio di restauro. E allora si deve dedurre che, nonostante la guerra, i lavori nella Pinacoteca di Siena andavano avanti davvero; l’articolista ricorda la buona tradizione amministrativa della istituzione senese, passata da Peleo Bacci al suo successore, ma fa riferimento a quello che doveva essere il suo fiore all’occhiello: l’ Ispettore prof. Carli competentissimo ed appassionato coadiutore’ (7). Oltre alle intenzioni propagandistiche dei politici, in questa vicenda c’è forse anche un po’ della saldezza incrollabile e dello sguardo al futuro dell’ispettore `competentissimo ed appassionato’. Cesarini coglie il nocciolo della personalità di questo giovane, ma cerchiamo di vederla con gli occhi di oggi. Le competenze sono quelle di uno storico dell’arte formatosi nella Università di Pisa alla scuola di Matteo Marangoni, laureandosi nel 1931 con una tesi su Tino di Camaino (8); la tempra è quella di un intellettuale, nutrito di poesia, di letteratura e di musica, non come puri elementi di piacere, ma come esperienze di tutta la personalità. (Ottimo musicista, Carli, ha affiancato agli studi universitari di lettere quelli di pianoforte e di composizione). Si può intuire che in questo quadro, la conoscenza dei problemi tecnici del restauro e della gestione del patrimonio artistico siano un acquisto dovuto alla pratica e poco agli studi di storia dell’arte, svolti negli anni universitari solo nell’ambito della teoria e della storia, dovuto dunque alla necessità di dover agire bene e subito.
Durante il periodo in cui Enzo Carli lavora presso la Soprintendenza di Siena, (prima, come abbiamo visto, in qualità di Ispettore, poi quale direttore della Pinacoteca, succedendo ad Anna Maria Francini Ciaranfi, una storica dell’arte fiorentina, allieva di Pietro Toesca infine come Soprintendente), i restauri sono un capitolo importantissimo. Molti hanno il carattere degli eventi memorabili come quello della Maestà di Duccio, compiuto a Roma dall’Istituto Centrale del Restauro, il grande centro nazionale impiantato da Cesare Brandi, oppure quello del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, eseguito dallo stesso Istituto nel 1951. Domina il restauro della vetrata del Duomo di Siena che fu smontata in occasione della guerra per essere messa al riparo e rimontata con interventi di consolidamento dei sostegni metallici e di integrazione di alcune parti consunte. Il grande tondo vitreo era allora attribuito a Jacomo da Castello e Carli, sulla base di uno studio capillare, ebbe buon gioco a dimostrare che il documento col nome di Jacomo era pertinente ad altra vetrata e, riprendendo le opinioni che il De Nicola aveva formulato agli inizi del secolo, espresse la tesi che sia un’opera duccesca (9). Ma oltre i grandi restauri, c’è l’ordinaria amministrazione, non facile da gestire. È probabile che per tutto il tempo in cui l’ingegner Niccoli rimane in carica, Carli abbia avuto tutto lo spazio possibile per curare le opere d’arte della provincia di Siena e di Grosseto, in seguito, sembra che le cose si siano complicate.
C’è un articolo di Cesare Brandi, pubblicato nel 1964 sulla rivista Il Punto, che è rivelatore (10). Forse potrà apparire poco consono alla circostanza usare come materiale documentario un articolo in cui Brandi, con un tono acido, critica la famosissima e bellissima mostra dell’arte senese in Maremma (11) perché fatta d’estate, in locali non adatti ad accogliere sublimi capolavori, alcuni dei quali in uno stato di conservazione pessimo, ma mi sembra importante osservare come un articolo che si presenta alla prima negativo riconosca in larga misura i grandi meriti di Enzo Carli. Brandi infatti insiste in vari passi sui «meritori recuperi» quali il Crocifisso col perizoma svolazzante della chiesa di San Francesco a Grosseto, attribuito dal Carli a Duccio di Buoninsegna e quello di Montenero sull’Amiata, attribuito ad Ambrogio Lorenzetti, dal Brandi invece ritenuto di un seguace di Ambrogio che guarda anche a Pietro (12). Quest’ultimo era in condizioni particolarmente gravi e l’articolista non si spiegava come potesse essere esposto senza protezioni adeguate, ma finiva per mettere sotto gli occhi di tutti le carenze, non certo dipendenti da Enzo Carli, del Gabinetto di restauro della Soprintendenza e la penuria di buoni restauratori. Si augurava infatti che l’opera venisse al più presto restaurata: «Speriamo ora che la Soprintendenza di Siena dispone dell’ottimo restauratore Donato Martelli, che sia più presto possibile affidata alle sue mani». Si capisce che l’avvento di Martelli veniva a modificare la dotazione di personale di un gabinetto di restauro non più rispondente ai tempi.
Eppure ne uscivano le scoperte che arricchivano la storia dell’arte senese, come quando, effettuati saggi di pulitura su di una tavola grossolanamente ridipinta, rimossa dalla pieve di San Giovanni Battista a Lucignano, incominciarono a ricomparire alcune parti di un dipinto trecentesco: «Il Dal Mas scrive Carli aveva liberato completamente l’occhio destro di una sottostante Madonna, e questo appariva di una tale penetrante e soave dolcezza, e così inconfondibilmente caratterizzato nel suo perfettissimo disegno, da indurmi subito a pronunziare
senza esitazioni ma, devo confessarlo, con una certa emozione, il nome di un artista tra i più rari e i più grandi non solo del Trecento senese, ma di tutto il Medioevo italiano ed europeo: Simone Martini», nome unanimemente accettato (13). L’evento non è eccezionale e si di-stanzia di pochi mesi dal ritrovamento nella basilica di San Domenico a Siena, conseguente all’abbattimento di una parete, di un affresco trecentesco con la Madonna col Bambino che benedice un guerriero genuflesso presentato da San Giovanni Battista. Esistono gli articoli dei maggiori giornali con il resoconto della conferenza stampa indetta dal soprintendente per diramare la notizia e chiarire che si trattava della scoperta di un’opera di Pietro Lorenzetti. Questi ritrovamenti di opere chiave per la storia dell’arte senese avvenivano nel giro di pochi mesi tra il 1957 e il 1958 e il soprintendente pisano era ormai identificato con l’artefice del recupero dell’arte senese. La sua prosa duttile e fluida presentava queste scoperte agli studiosi in saggi in cui gli studi docu­mentari giungevano, attraverso l’analisi stilistica, a sintesi critiche ac­compagnate dallo smalto delle sue doti di scrittore, e la stessa prosa sapeva rivolgersi a tutti nelle migliaia di pagine dedicate alla divulga­zione della storia dell’arte italiana.
La tesi di laurea su Tino di Camaino costituisce una base di studio che si trasforma in una traccia seguita fin dall’epoca degli studi abruzzesi, il costante impegno di ricostruzione filologica della scultura del trecento nelle sue vicende pisane e senesi. I grandi pulpiti, i monumenti funebri, i cicli statuari delle chiese toscane, intessevano una storia del gotico italiano attenta ai valori poetici, agli aspetti sublimi dell’arte, ma non distratta nei confronti delle forme meno nobili. Si pensi solo quanto Carli abbia fatto per la scultura lignea, indagata a lungo e prediletta fin dagli anni abruzzesi, fino al volume pubblicato nel 1960 dalla casa editrice Electa fondata e diretta dal pittore senese Dario Neri (14).
Gli articoli di Brandi ci aiutano a scoprire un altro aspetto di Enzo Carli che fu per molti anni Soprintendente di una Soprintendenza che riuniva la tutela delle opere d’arte a quella dei monumenti. Non possiamo dimenticare la sua difesa del tessuto urbano, la salvaguardia della integrità fisica di una città, bella perché i monumenti si intrecciano alle case di abitazione e agli orti formando un organismo. Brandi conferma che il piano regolatore di Siena, quello che prevedeva le nuove costruzioni sulle colline a nord fu redatto da Luigi Piccinato e da Piero Bottoni non estraniandosi affatto, dice Branchi, «dai suggerimenti di chi, come il soprintendente Enzo Carli, è quanto mai sollecito e pronto nella difesa di questa ineguagliabile città». Infatti nel 1962 Carli rilascia un’intervista a «La Balzana» dal titolo: «Siena sarà tanto più moderna quanto più saprà mantenersi antica». Affermazioni, idee, valide ancor oggi che mostrano un susseguirsi di battaglie per la difesa di Siena, del territorio e della Maremma. Chi gli è stato vicino ricorda quanto fosse fiero di aver salvato Talamone che doveva trasformarsi in un centro petrolifero. Anche se avverso all’uso selvaggio del territorio, Carli era comprensivo delle necessità della vita moderna. Pochi mesi fa ricorda-va il compromesso cui dovette ricorrere per la costruzione delle clinica pediatrica in via Mattioli, riuscendo a salvare il muro antico, oggi ab-battuto per far posto alla Facoltà di Giurisprudenza, e così Siena ebbe un edificio utile e brutto, ma conservò l’antico profilo della strada che da porta Tufi sale verso Sant’ Agostino, una strada che manteneva tutte le stratificazioni storiche, anche recenti, salvaguardando il suo carattere un po’ rustico e un po’ moderno, un po’ medioevale e un po’ settecentesco.
Ricordo tutto questo perché stiamo parlando di un uomo che era uno storico dell’arte e non un architetto, a dimostrazione del valore del-la buona cultura, delle letture, della poesia, insomma dell’esercizio di tutte quelle arti per cui, nel trigesimo Carli, è stato ricordato come umanista. La cultura non fu per lui un sovrabbondante ornamento, ma la garanzia del corretto operare nella salvaguardia del patrimonio di tutti.
Anche il suo interesse per l’arte contemporanea si includeva nel cerchio delle sue preferenze artistiche, poetiche e musicali. Il suo occhio rifuggiva da qualsiasi teorizzazione ideologica e nella sua casa non è mai entrata l’arte di estrema avanguardia, non la pittura astratta, i sacchi di Burri, le deformazioni degli Informali, ma Greco, Manzù, Guttuso, Viviani.
Parallelamente, nella sua storia dell’arte, non sono mai apparse de-rive iconologiche, sociologiche o formalistiche. Nei suoi studi il docu­mento serve per l’attribuzione e la datazione dell’opera, l’iconografia è intesa quale immediato riscontro della cultura letteraria e religiosa dell’artista, la letteratura artistica, sorgente inesauribile di dati, non co­stituisce una storia in sé. L’opera, l’artista, Io storico dell’arte, sono la triade su cui si è basata la sua storia dell’arte fino agli ultimi studi.

BERNARDINA SANI

 

NOTE

(1) Bibliografia di Enzo Carli, a cura di W. Loseries, Firenze 1989.

(2) La rivista La Diana dedicherà a Carli un numero speciale con suoi brani inediti, con lettere di personaggi importanti della cultura italiana e disegni di artisti. Gli scritti stanno riemergendo nel corso del lavoro di inventario della biblioteca. condotto da Alberto Cornice.

(3) I saggi sono ora disponibili in E. CARLI, Arte in Abruzzo, Milano 1998.

(4) E. CARLI, R. CARLI, Guerra a Villa Arcano, Siena 1997.

(5) Si riferiscono a questa iniziativa gli articoli E. CARLI. La mostra dei capolavori di arte senese, in «Emporium» , CII, 1945, pp. 40-54; E. Carli, La mostra dei capolavori d’arte senese. in «II mondo», I , 8 , 1945, pp. I0-11.

(6) E. CARLI, I nuovi acquisti della Pinacoteca di Siena in «Emporium», XCV, pp. 230-247.

(7) Le notizie compaiono, oltre che su «II Telegrafo» del 22 settembre 1942 anche su «La Nazione» dello stesso giorno.

(8) Risale alla tesi il libro E. CARLI. Tino di Camaino scultore. Firenze 1934. Carli condivise la discepolanza da Matteo Marangoni con Ludovico Ragghianti, di cui fu compagno di studi e amico. Rispetto all’amico. Carli fu meno interessato alle teorie estetiche.

(9) E. CARLI, Vetrata Duccesca, Firenze 1946. II volume fu pubblicato dalla casa editrice Electa. fondata dal pittore senese Dario Neri, amico del Carli. È uno dei volumi più curati della serie, vero capolavoro d’arte tipografica.

(10) L’articolo è raccolto in C. BRANDI, Aria di Siena, I luoghi, gli artisti, i progetti, a cura di R. Barzanti. Roma 1987, pp. 106-108.

(11) Arte senese nella Maremma grossetana, Grosseto 1964.

(12) E. CARLI. Ricuperi e restauri senesi, I. in «Bollettino d’arte», L, pp. 94-99: E. CARLI, Ricuperi e restauri senesi, Il, i Lorenzetti in «Bollettino d’arte», L, pp. 211-215.

(13) E. CARLI, Una nuova Madonna di Simone Martini, in «Terra di Siena», f. c., XII, n.2, 1958, pp. 4-12.

(14) E CARLI, La scultura lignea italiana dal Xll al XVI secolo. Milano 1960.