Carlo Emilio Gadda
Roma, 5 novembre 1953 Carissimo Sandro, il mio cuore ti deve un grazie vivissimo per la tua lettera, per il tuo fraterno pensiero, e la ragione arrossisce di questo scandaloso ritardo nel corrispondere un saluto così grato e per me così necessario. Ma, non ti paia scusa, sono malato: il premio Viareggio ha risaldato i vecchi conti, ha sanato un bilancio, ma non il fisico, forte irrimediabilmente compromesso. […] Ora avrei bisogno di poter molto lavorare… anche perché il lavoro viareggino –olivettiano è stato un po’ una cambiale in bianco sulla mia attività, un riconoscimento, forte, ma certo anche un segno di attesa. E, come dice Luzi, giustamente, molti anni “produttivi” non mi rimangono. Bisognerebbe non «perdere» altro tempo. Il tuo aff.mo Carlo Emilio
Dopo il ’51, che si era trasferito a Roma, non avevo più visto Carlo Emilio. Solo una volta, a Roma, con Carlo Bo, lo incontrammo entrando in un ristorante, e provocammo il suo repentino alzarsi con conseguente imbarazzo di tovagliolo, forchetta, paste al sugo, presentazioni a due altre persone che mangiavano con lui. Fui lieto di vederlo bene in arnese, perché erano già corse voci di suoi disturbi della salute piuttosto preoccupanti. Poi più nulla, perché si capiva che Gadda non gradiva le visite, che queste anche debitamente preannunciate, lo mettevano in un’indebita situazione. […] Così era diventato l’ingegner Gadda che abbiamo conosciuto qui a Firenze, quando era ancora in essere, capace di grandi mangiate, di lunghe camminate sotto il sole ostentando le bretelle e portando la giacca al braccio, e di interminabili sedute al caffè nel sospetto continuo di un attacco proditorio di Tommasino Landolfi. |